In un libro le ipotesi del leccese Francesco Corona: il testo ha ispirato anche una puntata del programma di Raidue ”Voyager”
di Claudia Presicce
Otranto e il messaggio di Pantaleone
A guardarlo nei suoi infiniti piccoli tasselli sembra quasi che non abbia un vero inizio e soprattutto una vera fine e questa sensazione sembra la metafora del suo significato. Sicuramente tutti coloro che lo hanno calpestato, camminandoci sopra guardandolo, hanno provato almeno una volta un senso profondo di rispetto, la sensazione simile a quella della colpa per una violazione.
Non tutti lo sanno, ma il mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto è il più grande d’Europa. Tuttavia non sono le sue dimensioni a renderlo unico.
Sul significato celato dietro le immagini, anzi sui suoi significati, tuttora restano legittime domande e perplessità, sotto diverse vesti, si sono accinti a cercare di fare chiarezza sul meraviglioso “Albero della vita” disegnato dal monaco Pantaleone tra il 1163 e il 1166. Sicuramente tra quei tasselli di storia che furono “testimoni” del massacro dei martiri di Otranto, si nasconde un antico messaggio di un monaco molto saggio e dalla mente sottile.
Quanto e se questo messaggio fosse più o meno religioso è un argomento di cui si discute da secoli, tra ricostruzioni storiche e ragionamenti immaginifici.
In tanti si sono adoperati sul tema e tra gli studi più recenti c’è anche quello del leccese Francesco Corona, ripreso tra l’altro dalla trasmissione di Raidue “Voyager” che ha dedicato tempo fa un’intera puntata all’enigma del mosaico otrantino.
Corona, che nella città dei martiri è nato, ma che risiede a Roma, insegna techno-intelligence presso il ministero dell’Interno, ed ha racchiuso le sue ricerche nel volume “La triplice via del fuoco nel mosaico di Otranto” (Atanòr; 12,00 euro).
La “chiave” di Corona parte da una constatazione relativa alle culture presenti ad Otranto al tempo dell’Abbazia di San Nicola di Casole (dalla quale proveniva Pantaleone) filtro dell’incontro tra Oriente e Occidente, e quindi tra conoscenze terrene e trascendenti, tra tantrismo, ebraismo e cristianità.
In pratica, Corona vuole dimostrare che quello di Pantaleone fu un tentativo di “comunicazione iniziatica di un metodo di risveglio delle coscienze”, un vero processo di ascesi strutturato in due fasi. Interpretazione suggestiva, dunque, che l’autore nel suo libro spiega nei dettagli e che segue una metodologia sospesa tra la Cabala ebraica, le tecniche dello Yoga sutra di Patanjali, le radici del misticismo cristiano proprie della gnosi e dell’esicasmo greco orientale.
Infatti secondo Corona i simboli usati da Pantaleone sono riconducibili a queste tradizioni culturali che tuttavia non si escludono a vicenda, ma anzi convivono nell’armonia di un messaggio unificante.
Non solo cristiani, infatti, sono gli elementi che sono stati posizionati tra i rami dell’Albero. C’è Alessandro Magno, ma ci sono anche Re Artù che cavalca un caprone, Diana, un gatto con gli stivali, e numerosi animali mitologici o riferibili alle dottrine orientali come elefanti e roditori.
E poi, considerando anche i cerchi e le stelle a sei o cinque punte, Corona si è chiesto il perché di tutto questo e ha cominciato a rispondere passando in rassegna le culture presenti all’epoca di Pantaleone ad Otranto e il significato di quei simboli in ognuna di esse. Ecco emergere,dunque, le scuole esoteriche d’Oriente, la scuola ermetica ma anche la ricerca del Sacro Graal e tutto quel crogiuolo di saperi a cui si attinse nel monastero di Casole per creare una sorta di itinerario ascetico per raggiungere Dio.
Tutto ha così un suo senso: nel libro di Corona passa in rassegna ogni dettaglio del mosaico, anche quello apparentemente più comprensibile e lo rilegge alla luce delle conoscenze che erano alla base della formazione di Pantaleone, ma di una regola che non apparteneva ai ”tipica” del monastero (cioè alle norme del convento) quanto – spiega – ad “una sublimazione o trasmutazione di un sapere universale perseguito all’interno del monastero di Casole, regola di iniziazione ascetica data come metodo sperimentale che integrava conoscenze esoteriche di differenti scuole metafisiche e occidentali”.
Il linguaggio di quel mosaico – dice insomma Corona – non risulta facilmente interpretabile oggi dall’uomo moderno, che ha perso quella familiarità con una cultura basata sulla ricerca delle energie spirituali dell’ uomo, sulla sua possibilità di riconquistare una “deità “ perduta, secondo una tradizione definita anche “tradizione solare“.
Pantaleone invece si sarebbe rivolto a “quell’uomo“in grado di cogliere questo messaggio spirituale e seguire questo cammino ascetico verso la divinità. Nel testo, poi, si dimostrano concrete analogie con alcuni passi della Divina Commedia di Dante che – come sappiamo – non era stata ancora scritta. La tesi dimostrerebbe l’esistenza di fonti e codici comuni ad una cerchia di dotti medievali o addirittura disegnare l’ipotesi - azzarda Corona – che l’Alighieri abbia studiato al monastero di Casole.
In conclusione, la “triplice via del fuoco” sarebbe dunque il vero messaggio di Pantaleone che, non in contrasto con il cristianesimo delle origini, vedeva nella relazione tra questi tre sistemi mistici la via della salvezza, un segreto prezioso da tramandare all’umanità.
Fonte: "Il Quotidiano" di sabato 30 dicembre 2005.
Autore: Claudia Presicce